L'apertura di un conto corrente cointestato rappresenta sovente, per gli ex coniugi, uno strumento pratico, utile ai fini della raccolta e della gestione dei proventi a vantaggio familiare, nella fattispecie, ad esclusivo favore dei figli.
L’Agenzia delle Entrate con Risposta n. 205 del 9 luglio 2020 ha chiarito che, se in linea di principio, la co intestazione di un conto corrente bancario può costituire donazione indiretta, non è tale nel caso in cui il beneficiante, al momento della co intestazione, sia mosso da uno scopo diverso da quello di assicurare all’altro una liberalità.
Elementi essenziali della donazione sono infatti l’animus donandi e l’arricchimento del donatario, cui corrisponde il depauperamento del donante.
Le donazioni indirette, previste e disciplinate dall’art. 809 cod. civ., risultano accomunate al contratto di donazione in quanto comportano, a favore del beneficiario, un arricchimento senza corrispettivo, realizzato per spirito di liberalità, seppur tramite atti diversi dalla donazione. Di conseguenza, se l’attribuzione è posta in essere per adempiere ad un obbligo giuridico, manca lo spirito di liberalità.
Non si può pertanto parlare di donazione indiretta nel caso in cui l’apertura del conto cointestato costituisce l’adempimento di un obbligo stabilito con sentenza di divorzio del Tribunale. Tanto più se, come rileva l’Agenzia, la co intestazione del conto avviene con la modalità della firma congiunta, che non consente al singolo cointestatario di disporre del conto senza il consenso dell’altro.
Pertanto, in estrema sintesi, l’apertura di un conto corrente cointestato, a firma congiunta, al fine di rispettare quanto sancito da una sentenza di divorzio non costituisce donazione indiretta e, dunque, non determina l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni.
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